Gesù di Nazaret rivelato ai piccoli 

- Discorso ecclesiale -


Per scaricare il libro completo clicca qui

 
Discorso ecclesiale

Nel Vangelo di Matteo leggiamo: "In quel momento i discepoli 
si avvicinarono a Gesù dicendo: Chi dunque è il più grande nel 
regno dei cieli? Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in 
mezzo a loro e disse: In verità vi dico: Se non vi convertirete e 
non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 
Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il 
più grande nel regno dei cieli. 


E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, 
accoglie me. 


Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che 
credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al 
collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del 
mare. Guai al mondo per gli scandali! 


È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per 
colpa del quale avviene lo scandalo!" (18,1-7). 
Matteo non parla della discussione degli apostoli lungo la 
strada su chi di loro fosse il più grande, come invece fa l'evangelista 
Marco. 


L'istruzione di Gesù non riguarda solo gli apostoli, ma 
ciascun membro della comunità ecclesiale. L'aspetto didattico è 
reso ancora più evidente dalle parole "in quel momento" e dalla 
domanda: chi è dunque il più grande nel regno dei cieli? L'espres- 
sione "nel regno dei cieli" non riguarda solo l'aldilà, ma anche la 
vita presente. Non si tratta né del regno di Dio futuro, né della 
Chiesa popolo di Dio qui in terra, ma di quella comunità di 
uomini che già ora vivono sotto la sovranità di Dio. La richiesta 
consiste nel volere comprendere quale ordine gerarchico si debba 
porre in una comunità che riconosce Dio come Signore. 
La risposta di Gesù è un gesto simbolico: colloca un bambino 
al centro, proprio il bambino che nella mentalità pagana e anche 
ebraica, non veniva nemmeno contato e messo al margine della 
società. Matteo mette l'accento più che sul gesto, sull’esortazione 
morale che segue. Gesù dice che chiunque si fa piccolo come 
questo bambino, è il più grande nel regno dei cieli. Diventare 
come i bambini non è un ritorno all'infanzia, ma diventare poveri 
di spirito, obbedienti a Dio. 


Il brano che segue i primi cinque versetti non parla più dei 
bambini, ma dei piccoli, una categoria di uomini ritenuti inferiori 
e disprezzati. 


I piccoli sono dei credenti in Cristo. Ma nella comunità sono 
quelli che hanno bisogno di una cura particolare, perché possono 
peccare e perdersi a causa degli scandali e del disprezzo degli altri. 
Il primo monito severo è rivolto a chi scandalizza uno solo 
di questi piccoli. Scandalizzare i piccoli significa impedire loro di 
perseverare nel legame con Gesù. Il fatto viene considerato molto 
grave perché la sorte di chi affoga in mare viene ritenuta preferibile 
a quella di chi scandalizza. Gesù afferma l'ineluttabilità degli 
scandali, data la nostra libera volontà, ma nello stesso tempo 
insiste sulla grave responsabilità di chi ne è la causa. Non si 
tratta di una fatalità, di una necessità, ma di una condizione 
storica. La condizione del mondo è quella in cui si verificano 
scandali, è una situazione tenebrosa caratterizzata dall’azione di 
satana. Matteo continua: "Se la tua mano o il tuo piede ti è 
occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te 
entrare nella vita monco e zoppo, che avere due mani o due 
piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è oc- 
casione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te 
entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed 
essere gettato nella Geenna del fuoco" (8-9). Nei due versetti 8-9 
l'accento è spostato su chi scandalizza se stesso, su chi causa la 
propria defezione, distacco dalla fede. Scandalizzare è di una 
tale gravità per cui non bisogna evitare di sacrificare quanto c'è 
di più prezioso nella propria persona. 


L'evangelista Matteo scrive: "Guardatevi dal disprezzare uno 
solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono 
sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. È venuto infatti il Figlio 
dell'uomo a salvare ciò che era perduto" (10-11). Gesù sviluppa il 
tema dei piccoli e dicendo che i loro angeli guardano sempre la 
faccia del Padre celeste, mette in evidenza ancora il loro valore. 
La parabola della pecora smarrita (12-14) è inserita nella si- 
tuazione del mormorio ostile dei farisei e degli scribi, perché ve- 
devano che si avvicinavano a Gesù pubblicani e peccatori per 
ascoltarlo. I peccatori ascoltando Gesù cessavano di appartenere 
alla categoria degli empi; la conversione di uno solo di essi, 
procura gioia in cielo. Si tratta non di una pecora perduta, ma di 
una pecora smarrita. La parabola è nel contesto di un discorso 
ecclesiale dove la comunità deve adoperarsi perché un fratello 
che si smarrisce non si perda totalmente. La volontà del Padre è 
che non si perda uno solo di questi piccoli. Si tratta di una esor- 
tazione alla Chiesa perché abbia verso i piccoli quella sollecitudine 
che corrisponde all’agire stesso del Padre: una imitazione di Dio. 
Nel testo (17-18) si passa al tema della correzione del fratello 
che pecca, con uno sviluppo coerente; che precisa il comportamento 
per i piccoli. Viene presentata una triplice iniziativa per recuperare 
il fratello alla comunione: una correzione personale portata avanti 
da un membro della comunità, una correzione ripetuta in presenza 
di due o tre membri, e infine l'intervento dell'assemblea locale. I 
passi per recuperare il fratello sono graduali. I testimoni non 
prendono parte a un dibattito processuale. Tutti i tentativi non 
sono dettati da propositi punitivi, ma tendono a recuperare chi 
pecca. La frase "se rifiuta di ascoltare anche la Chiesa, sia per te 
come il pagano e il peccatore", non è una conclusione sprezzante 
e drastica, intende solo dire che il fratello che respinge la mano 
offertagli per il ritorno, non rientra più nella categoria dei 
discepoli, ma in quella dei pagani e dei pubblicani che non 
hanno niente a che vedere con la comunità, ma che non vengono 
abbandonati dalla misericordia del Padre. 


Matteo non parla di giudizio definitivo, esso avviene solo 
alla fine dei tempi. 


La decisione della Chiesa presa nei confronti del fratello 
viene convalidata da Dio. L'esclusione del peccatore lascia aperta 
la possibilità della sua conversione e riassunzione nella comunità. 
Anche nella forma più dura della correzione si sente la premura 
della salvezza del fratello e il desiderio del suo ritorno. La 
comunità riconciliata costituisce il luogo della presenza del 
Signore Gesù in mezzo ad essa. 


Pietro pone una domanda che riguarda i limiti del perdono. 
Anche i rabbini discutevano sul numero delle volte in cui 
bisognava accordare il perdono, ritenendo che si potesse arrivare 
fino a tre. Pietro con il numero sette si spinge oltre e indica la di- 
sponibilità ad accordare il perdono oltre la misura stabilita dalla 
prassi, ma pone un limite. 


Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta 
volte sette" (Matteo 18, 22). 


La parabola del servo spietato conclude il discorso ecclesiale. 
La parabola può essere divisa in tre scene e in una sentenza finale. 
Nella prima scena viene messa in luce la misericordia del Si- 
gnore nei confronti del suo debitore. Nella seconda si nota la 
sproporzione tra i contendenti e l'atteggiamento benevolo del 
padrone e quello spietato del suo debitore. Nella terza scena il 
giudizio non viene espresso sulla base della legge, ma sulla base 
della misericordia non condivisa. La sentenza conclusiva presenta 
l'applicazione della parabola alla comunità e riprende l'insegna- 
mento del discorso della montagna sul perdono. 


Il testo di Matteo insegna che gli uomini vivono della miseri- 
cordia del Padre e che il loro compito è donar si quel perdono di 
cui essi sono stati fatti oggetto. 


Dall'inizio del ministero pubblico di Gesù era passato più di 
un anno e mezzo. 


Stando ai dati del Vangelo, l'attività di questi mesi si era 
svolta nella Galilea, eccetto il viaggio a Gerusalemme e l'altro 
viaggio nella Fenicia. 


Facendo un bilancio secondo calcoli umani, il risultato di 
quell’attività era scarso. I suoi compaesani lo avevano cacciato 
da Nazaret. Gli abitanti dei paesi presso il lago accorrevano a lui 
per i miracoli operati, ma eccetto alcuni, non accettarono il cam- 
biamento della mente e il suo Vangelo. 


Gesù ne fu rattristato, per cui un giorno disse: "Guai a te Co- 
razin! Guai a te Betsaida. Perché se a Tiro e a Sidone fossero stati 
compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da 
tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella 
cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio 
avranno una sorte meno dura della vostra. 


E tu Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli 
inferi precipiterai! Perché se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli 
compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! 


Ebbene io vi dico nel giorno del giudizio avrà una sorte 
meno dura della tua!" (Matteo 11, 21-24). 


Dei paesi qui nominati conosciamo Betsaida e Cafarnao, non 
Corazin. Questo mostra come siano poche le informazioni 
trasmesse dagli evangelisti riguardanti Gesù e la sua attività. Se 
Gesù nomina Corazin con una particolare deplorazione vuol 
dire che il paese era stato oggetto delle sue cure, come Betsaida e 
Cafarnao e di tutto questo non sappiamo nulla. Eusebio dice che 
Corazin distava due miglia da Cafarnao. Infatti, a tre chilometri 
a nord di Cafarnao c'è il luogo chiamato Kerazie, ove è stata ri- 
portata alla luce l'antica sinagoga costruita in pietra di basalto e 
con decorazioni simili a quelle della sinagoga di Cafarnao. Ora, 
come al tempo di Eusebio, tutto il luogo è deserto. 



Stai leggendo il libro: "Gesù di Nazaret rivelato ai piccoli"
Per scaricare il libro completo clicca qui  
Torna all'indice

Per creare un gruppo di preghiera Adorto
"per la famiglia e la vita"


 clicca qui

Se vuoi scaricare 
il libro testimonianza
 "Vivere 
o uccidere una vita"
  clicca qui

 


Home Page