Gesù di Nazaret rivelato ai piccoli 

- Il processo davanti a Pilato -


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Il processo davanti a Pilato

I membri del Sinedrio portarono Gesù davanti. a Pilato, 
perché fosse istruito un nuovo processo, presentando Gesù come 
un pericoloso agitatore politico, suscitatore di ribellioni contro 
l'autorità di Roma. Era ormai l'alba, circa le ore sei. I romani 
antichi erano mattinieri. 
Giunti al pretorio, gli accusatori di Gesù si fermarono senza 
entrarvi, perché quella dimora era di un pagano, ed essi se 
avessero varcata quella soglia si sarebbero contaminati, quindi 
non avrebbero potuto celebrare la Pasqua, che iniziava proprio 
la sera di quel giorno. 


L'evangelista Giovanni dice" che Pilato sedette nel tribunale, 
nel luogo chiamato Litostrato, in ebraico Gabbata". Litostrato è 
una parola greca che significa strato di pietre, ossia lastricato e 
"Gabbata", parola ebraica, significa altura. Pilato in quel giorno 
mise il tribunale nella fortezza Antonia. Il procuratore di Roma, 
avvertito che i membri del Sinedrio con molta gente si erano 
fermati fuori del pretorio e volevano parlargli a proposito di un 
imputato chiamato Gesù di Nazaret, usci verso di loro e domandò: 
Quale accusa portate contro quest'uomo? Gli risposero: Se costui 
non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato. Pilato 
capì subito che si trattava di una delle tante questioni religiose 
giudaiche, nelle quali egli non voleva entrare. Rispose: Prendetelo 
voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. Queste parole erano 
un invito ad applicare le leggi nazionali con la nota esclusione 
della pena capitale. Ma qui era il punto delicato della questione, 
e gli accusatori lo segnalarono indirettamente al procuratore di- 
cendogli: A noi non è lecito uccidere alcuno. Da questa risposta 
Pilato capì che l'imputato nell'intenzione degli accusatori era già 
destinato alla morte. 


Così veniva impostato il nuovo processo davanti all’autorità 
civile, e per fare pressione su Pilato, i capi giudei dissero: "Abbiamo 
trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare 
tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re (Luca 23, 2). 
Pilato, pure comprendendo che l'accusa non aveva alcun 
fondamento, non poté trascurarla, perché c'era il pericolo che gli 
accusatori lo denunciassero a Roma, come negligente nel reprimere 
moti politici contro l'autorità imperiale. Allora egli rientrò nel 
pretorio e domandò a Gesù: "Sei tu il re dei giudei? Gesù rispose: 
"Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto? 
(Giovanni 18, 34). Pilato sdegnato replicò: "Sono io forse giudeo? 
La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me, che 
cosa hai fatto? Gesù replicò: "Il mio regno non è di questo mondo, 
se il mio regno fa d i questo mondo, i miei seguaci avrebbero 
combattuto perché non fossi consegnato ai giudici, ma il mio 
regno non è di quaggiù (Giovanni 18, 36). Pilato disse: "Dunque tu 
sei re? Gesù rispose : "Tu lo dici, io sono re. Per questo io sono 
nato e per questo sono venuto nel mondo per rendere testimonianza 
alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Pilato gli 
disse: "Che cos'è la verità? (Giovanni 18, 37-38). Pilato non aspettò 
la risposta, e uscì per parlare con i giudei che erano fuori dal 
pretorio. Pilato dal breve dialogo avuto con Gesù si era ancora 
più convinto che l’imputato era innocente, e che la denuncia era 
causata dall’odio che i capi dei giudei gli portavano per questioni 
religiose. In Pilato si univano il senso del diritto che aveva come 
magistrato romano, e il disprezzo che nutriva per quei capi del 
giudaismo. Ambedue questi sentimenti esigevano che l'imputato 
fosse rimandato assolto. 


Intanto da fuori giungevano ora l'una ora l'altra delle accuse 
ripetute da tutta la folla. Pilato, prima di affrontare la folla cercò 
dall'imputato quasi un suggerimento o un aiuto per la sua difesa 
e gli domandò: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accu- 
sano? (Marco15, 4). Ma Gesù non rispose nulla. Pilato ne fu me- 
ravigliato, ma non recedette dal proposito di difendere quel si- 
lenzioso imputato, uscito fuori proclamò davanti ai membri 
del Sinedrio e alla folla: "Io non trovo in lui nessuna colpa" 
(Giovanni 18, 38). Con questa dichiarazione il processo doveva 
considerarsi terminato. I membri del Sinedrio, più che la folla, ri- 
peterono le varie accuse : Costui solleva il popolo, insegnando 
per tutta la Giudea, dopo avere cominciato dalla Galilea fino a 
qui (Luca 23,5). Pilato, saputo che Gesù era galileo, volle mandarlo 
a Erode Antipa, pensando che anche ad un esame di Erode, Gesù 
sarebbe stato giudicato innocente. Inoltre, il caso di quell'imputato 
gli offriva l'occasione per riconciliarsi con il tetrarca. 
Erode Antipa era a Gerusalemme in quei giorni, in occasione 
della Pasqua. Quando seppe che il procuratore gli inviava quel 
galileo, fu molto contento, perché era desideroso di vederlo da 
molto tempo a causa di ciò che udiva di lui e sperava di vedere 
qualche prodigio fatto da lui. Erode rivolse a Gesù molte domande, 
ma non ottenne alcuna risposta, per cui rimase deluso e volle 
vendicarsi facendo rivestire Gesù di una veste sgargiante, uno di 
quei indumenti vistosi usati in Oriente da persone importanti 
per occasioni solenni. Così volle ridicolizzare l'imputato, che si 
era proclamato re. Erode voleva mostrare che Gesù era un uomo 
ridicolo, sciocco, ma non pericoloso. Gesù vestito in quel modo, 
fra gli schiamazzi sarcastici degli accusatori, fu rinviato da Erode 
a Pilato. Egli vedendo che Erode non voleva immischiarsi 
nell’affare, capì che si trattava di una cosa seria. Pure riconoscendo 
l'innocenza di Gesù, cercò una via di uscita cedendo in parte agli 
accusatori. 


L'evangelista Luca scrive: "Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, 
le autorità e il popolo, disse: Mi avete portato quest'uomo come 
sobillatore del popolo; ecco l'ho esaminato davanti a voi, ma non 
ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate, e 
neanche Erode, infatti ce l'ha rinviato. Ecco, egli non ha fatto 
nulla che meriti la morte" (23, 13-15). Ma subito dopo, con una 
conclusione inaspettata dice: " Perciò dopo averlo severamente 
castigato, lo rilascerò". 


Pilato comincia a piegarsi al volere del Sinedrio. Come legit- 
timare quel castigo promesso, che non sarebbe stato una pena 
leggera, ma la terribile flagellazione romana? Ma per il procuratore 
ciò che non era ammesso dal diritto, era richiesto dal suo interesse 
privato. Fatta questa concessione, Pilato fece una proposta agli 
accusatori. Era consuetudine, in occasione della Pasqua, che il 
procuratore liberasse un carcerato scelto dalla folla. In quei giorni 
era detenuto un malfattore chiamato Barabba = figlio del padre. 
Costui in una sedizione popolare, suscitata forse da lui, aveva
commesso un omicidio, poi era un ladro. Pilato si presentò 
quindi sul limitare del pretorio e fece la proposta: chi volete che 
vi dimetta, Barabba oppure Gesù, chiamato Cristo re dei giudei? 
Intanto Pilato ricevette privatamente un avviso di sua moglie: 
Non aver nulla a che fare con quel giusto, poiché molti sogni ho 
avuto oggi a causa di lui. 


L'avviso della moglie fece molta impressione a Pilato il quale 
era sensibile a quegli arcani segni che avevano molto credito 
presso i romani del suo tempo. Tutta Roma sapeva che Giulio 
Cesare avrebbe evitato le 23 pugnalate delle Idi di Marzo se 
avesse dato ascolto alla moglie Calpurnia che lo aveva pregato 
di non recarsi quel giorno nella curia, nel senato, perché essa 
nella notte precedente lo aveva visto in sogno colpito da pugnalate. 
Pilato ebbe un motivo in più per non condannare Gesù. 
I sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere 
Barabba. 
Allora il governatore domandò: Chi dei due volete che vi ri- 
lasci? Quelli risposero Barabba. Disse loro Pilato: Che farò dunque 
di Gesù chiamato il Cristo? Tutti gli risposero: Sia crocifisso! Ed 
egli aggiunse: Ma che male ha fatto? Essi allora urlarono: Sia cro- 
cifisso!" (Matteo 27,20-23). 


Pilato rimase sconcertato da questo atteggiamento. Con quel 
popolo inferocito non riusciva a discutere, anche perché le alte 
grida coprivano la sua voce. Allora fattosi portare un catino 
d'acqua, si lavò le mani davanti alla folla. L'azione di lavarsi le 
mani aveva un senso simbolico sia per gli ebrei (Deuteronomio 21, 
6-7) sia per altri popoli antichi. Essa mostrava che il procuratore 
respingeva ogni responsabilità e disse: "Non sono responsabile 
di questo sangue: vedetevela voi! E tutto il popolo rispose: Il suo 
sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" (Matteo 27, 24-25). 
Matteo mostra il contrasto tra i rappresentanti del mondo 
pagano, che riconoscono Gesù giusto, e il popolo d'Israele che 
nei suoi capi e nei suoi membri si assume la responsabilità della 
morte di Gesù. L'espressione tutto il popolo non vuole dire la 
totalità degli ebrei. Ciascuno ha la sua responsabilità: Pilato 
come rappresentante di Roma che occupava la Palestina, i capi 
dei giudei come sobillatori e autori principali del delitto, il 
popolo che si è lasciato manovrare. L'espressione: il suo sangue 
ricada sopra di noi e sopra i nostri figli è quasi una sfida contro 
eventuali pericoli e nello stesso tempo la suprema manifestazione 
della cecità dell’antico popolo eletto di fronte al Messia. D'ora in- 
nanzi, non solo il popolo ebreo, ma ogni singolo uomo si 
troveranno di fronte al dilemma: accettare la salvezza accettando 
il Cristo salvatore o perdersi nelle tenebre dell’annientamento. 
Il pericolo di una sollevazione popolare, la paura di ricorsi a 
Roma contro di lui, indussero Pilato a sottoporre Gesù alla fla- 
gellazione, sperando che quei sanguinari si accontentassero. 
Presso i romani la flagellazione precedeva solitamente la croci- 
fissione, ma alcune volte costituiva una pena a sé e poteva essere 
inflitta in sostituzione della pena capitale. Era eseguita dai soldati. 
Il condannato veniva prima spogliato e poi legato per i polsi ad 
un palo, in modo da rendere il dorso ricurvo. I colpi erano dati 
non con le verghe, riservate al cittadino romano condannato a 
morte, ma con uno strumento, il flagellum che era una frusta con 
molte code di cuoio, le quali venivano appesantite da pallottole 
di metallo o anche armate di punte aguzze. Mentre per i giudei 
la flagellazione legale era di 39 colpi, per i romani non vi era un 
numero stabilito, dipendeva dai flagellatori o dalla resistenza 
del condannato, il quale, specialmente se destinato alla pena ca- 
pitale, era considerato come un uomo senza diritti, un corpo sul 
quale si poteva infierire liberamente. 


Chi era sottoposto alla flagellazione romana veniva ridotto 
ad un mostro. Ai primi colpi il collo, il dorso, i fianchi, le gambe 
si illividivano, e si rigavano di strisce bluastre e di bolle tumefatte.
Poi la pelle e i muscoli si squarciavano, i vasi sanguigni scoppiavano 
e dappertutto usciva sangue e il flagellato era ridotto un ammasso 
di carni sanguinanti. Spesso egli sveniva sotto i colpi e moriva. 
Terminata la flagellazione Gesù rimase per qualche tempo in 
balia dei soldati. I carnefici chiamarono gli altri soldati della coorte e 
radunatisi attorno alla vittima, gli misero addosso una clamide rossa, 
di quelle usate dai trionfatori dopo una vittoria; intrecciarono una 
corona di spine e gliela misero in testa come diadema; gli infilzarono 
tra le mani legate ai polsi una canna, come scettro di comando. I 
soldati cominciarono a inginocchiarsi davanti a Gesù, dicendogli: 
"Salve re dei giudei! E alzatisi in piedi gli sputavano in faccia e tolta 
la canna dalle mani gliela sbattevano sulla corona di spine. 
Quando Gesù sfigurato dai colpi e rivestito degli indumenti 
da burla, fu condotto dal procuratore, egli uscendo dal pretorio, 
preannunciò alla folla la sua comparsa dicendo: "Ecco, io ve lo 
conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna 
colpa". Allora Gesù uscì portando la corona di spine e il mantello 
di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo! Al vederlo i sommi 
sacerdoti e le guardie gridarono: Crocifiggilo, crocifiggilo. Disse 
loro Pilato: Prendetelo voi e crocifiggetelo, io non trovo in lui 
nessuna colpa. Gli risposero i giudei: Noi abbiamo una legge e 
secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio. 
All'udire queste parole, Pilato ebbe ancora più paura, ed entrato 
di nuovo nel pretorio disse a Gesù: Di dove sei? Ma Gesù non gli 
rispose. Gli disse allora Pilato: non mi parli? Non sai che ho il 
potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce? 
Rispose Gesù: Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti 
fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle 
tue mani ha una colpa più grande" (Giovanni 19, 4-11). Pilato 
incerto, non vedeva il modo di uscire da quella situazione. Tale 
stato d'animo è riassunto da Giovanni con queste parole: Da 
quel momento Pilato cercava di liberarlo (19, 12). 


Gli accusatori ricorsero ad un argomento molto efficace sul 
procuratore e gridarono: Se liberi costui non sei amico di Cesare! 
Chiunque, infatti, si fa re si mette contro Cesare" (Giovanni 19,12). 
"Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel 
luogo chiamato Litostrato in ebraico Gabbata. 
Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato 
disse ai giudei: Ecco il vostro re! Ma quelli gridarono: via, croci- 
figgilo. Disse loro Pilato: metterò in croce il vostro re? risposero i 
sommi sacerdoti: Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare" 
(Giovanni 19, 13-15). 


L'evangelista Giovanni dice: "Allora lo consegnò loro perché 
fosse crocifisso" (19, 16). Lo scontro tra il procuratore di Roma, 
madre del diritto, e i sinedriti difensori del più stretto monoteismo, 
era terminato con la sconfitta del navigato politico, scettico 
pagano, che pure in qualche momento sentiva i deboli richiami 
della coscienza. Ma neppure i sommi sacerdoti e gli anziani 
uscirono vincitori. Essi che si facevano chiamare maestri, dovevano 
conoscere la Scrittura, nella quale si parla di Gesù, come Figlio 
dell'Uomo e Figlio di Dio per natura. Guidati non dalla fede, né 
dalla giustizia, ma dalle passioni umane, proclamarono loro re 
Tiberio Cesare, uno straniero, un incirconciso, un adoratore di 
Giove e di altri dei falsi. Quella loro vittoria si manifestò come la 
più atroce sconfitta. Ebbero per re Tiberio e i suoi successori, i 
quali esercitarono la loro sovranità, non tanto tempo dopo, 
quando distrussero il tempio, Gerusalemme e, dopo due millenni 
da quella catastrofe, non sono ancora usciti. 


Bisogna riflettere su questi fatti, che hanno la loro causa nel 
rifiuto di Gesù Cristo, unico salvatore, re dell'universo. Si dice 
che la storia è maestra della vita. Se si fosse ascoltato questa 
maestra, l'umanità non avrebbe conosciuto gli orrori di ieri e di 
oggi. 



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