Gesù di Nazaret rivelato ai piccoli 

- Istituzione dell'Eucaristia -


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Istituzione dell'Eucaristia

Quella sera si commemora l'esodo dall'Egitto. Il padre di 
famiglia benedice il vino, tutti ne bevono. Distribuito il pane 
azzimo, dopo la seconda coppa, si compie la memoria della li- 
berazione e dei benefici di Dio. Si mangia, in fine, l'agnello pa- 
squale. Questa è la cena secondo la legge antica. L'ultima cena 
celebrata da Gesù con i discepoli ha una innovazione. Trasferisce 
il fatto e la realtà nel tempo futuro. Quella è la prima celebrazione 
eucaristica. 


I discepoli avranno pensato al discorso di Cafarnao, che era 
sembrato alla gente e a loro così duro, perché Gesù aveva detto 
che bisognava mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Ora i 
loro occhi si aprono alla verità. Col nuovo rito essi restano per 
sempre uniti al Maestro e diventano essi stessi i primi sacerdoti 
del Sacramento. Gesù prende il pane, rende grazie, lo spezza e 
dice: "Questo è il mio corpo". Prende il calice del vino, rende 
grazie e dice: "Questo è il mio sangue". 


Tutto nasce dall'Eucaristia: memoria pasquale, memoria 
della redenzione, pegno che la realtà presente è in cammino 
verso la gloria futura. La Chiesa è il sacramento di Cristo, la 
sua continuazione, lo annunzia, lo dona. 
San Giustino, filosofo e martire, nel secondo secolo dopo 
Cristo, nella prima apologia diretta all'imperatore Antonino 
Pio, scrive: "Questo alimento noi lo chiamiamo Eucaristia, e 
non è dato parteciparne se non a chi crede veri gli insegnamenti 
nostri, e ha ricevuto il lavacro per la remissione dei peccati e la 
rigenerazione, e vive secondo le norme di Cristo. Poiché noi 
non lo prendiamo come un pane comune e una comune bevanda. 
Gesù Cristo nostro Salvatore, incarnatosi per la Parola di Dio, 
prese corpo e sangue per la nostra salvezza. Così il sacramento, 
consacrato con la preghiera di ringraziamento formulata dalle 
parole di Cristo, è carne e sangue di Gesù incarnato, secondo la 
nostra dottrina. Gli apostoli nelle loro memorie, dette Evangeli, 
tramandarono che Gesù lasciò loro tale legato" (I,66). 
I gesti di Gesù sono carichi di significato: il pane spezzato, 
il pane e il vino distribuiti. Tutto questo indica la morte e il 
dono della vita. 


Le parole di Cristo sul calice si collegano all’alleanza: il 
sangue del patto. L'alleanza è il gesto con il quale Dio libera il 
suo popolo e si dona ad esso. Le parole sparso per la moltitudine 
richiamano il testo del profeta Isaia (53), dove il Servo di Dio 
dona la sua vita per i molti che lo rifiutano. Tutto indica che la 
vita di Gesù è comunione, è una vita donata. La cena è la rive- 
lazione della vita di Gesù come dono, è la spiegazione del 
mistero dell’incarnazione. 
L'espressione: "Non berrò più il succo della vite fino al 
giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio" (14-15) mostra 
che il gesto di Gesù va al di là della croce, alla comunione defi- 
nitiva con Dio. 


Gli Evangeli sinottici non dicono quale impressione abbia 
fatto sugli apostoli la duplice azione di Gesù. È importante 
notare l'impressione e l'effetto permanente che ne ricevette 
tutta la primitiva comunità cristiana, la quale è stata l'interprete 
autorevole di quella doppia azione. Di questo fatto storico 
abbiamo testimonianze autorevoli. Circa 25 anni dopo l'ultima 
cena, l'apostolo Paolo scriveva ai cristiani di Corinto la lettera 
nella quale l'Eucaristia è presentata come rito stabile e abituale, 
come rito nel quale il fedele che vi partecipava mangiava vera- 
mente il corpo del Signore e beveva il suo sangue, come rito 
collegato direttamente con l'azione di Gesù nell'ultima cena e 
con la sua morte redentrice. Questo insegnamento è stato tra- 
smesso anche alle altre comunità da lui catechizzate ed era in 
pieno accordo con le catechesi degli altri apostoli. 



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