Il Vangelo della vita -

Non uccidere


Sin dai suoi inizi, la Tradizione viva della Chiesa, come testimonia la Didaché, il più antico scritto cristiano non biblico, ha riproposto in modo categorico il comandamento "non uccidere": "Vi sono due vie, una della vita e l'altra della morte; vi è una grande differenza fra di esse… Non ucciderai… non farai perire il bambino con l'aborto né lo ucciderai dopo che è nato… La via della morte è questa… non hanno compassione per il povero, non soffrono con il sofferente, non riconoscono il loro Creatore, uccidono i loro figli e con l'aborto fanno perire le creature di Dio; allontanano il bisognoso, opprimono il tribolato, sono avvocati dei ricchi e giudici ingiusti dei poveri; sono pieni di ogni peccato. Possiate star sempre lontani, o figli, da tutte queste colpe".

Procedendo nel tempo, la stessa Tradizione della Chiesa ha sempre unanimemente insegnato il valore assoluto e permanente del comandamento "non uccidere". E' noto che, nei primi secoli, l'omicidio veniva posto fra i tre peccati più gravi insieme all'apostasia, cioè, al rifiuto della fede cristiana, e all'adulterio e si esigeva una penitenza pubblica particolarmente gravosa e lunga prima che all'omicida pentito venissero concessi il perdono e la riammissione nella comunione ecclesiale.

Vi sono situazioni in cui valori proposti dalla legge di Dio sembrano in contrasto tra loro, come la legittima difesa in cui il diritto a proteggere la propria vita e il dovere di non ledere quella dell'altro risultano difficilmente componibili. Il valore della vita e il dovere di portare amore a se stessi non meno che agli altri fondano un vero diritto alla propria difesa. Lo stesso precetto dell'amore per gli atri, enunciato nell'antico testamento e confermato da Gesù, suppone l'amore per se stessi quale termine di confronto: "Amerai il prossimo tu come te stesso" (Mc 12,31). Al diritto di difendersi dunque, nessuno potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se stesso, ma solo in forza di un amore eroico, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e l'esempio sublime dato dallo stesso Gesù.

La legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile.

Accade che la necessità di porre l'aggressore in condizione di non nuocere comporti la sua soppressione. In tale ipotesi, l'esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione, anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile per mancanza dell'uso della ragione.

In questo contesto si colloca anche il problema della pena di morte, sul quale si registra nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un'applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione. Il problema va inquadrato nella visione di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell'uomo e quindi al disegno di Dio sull'uomo e sulla società. La pena che la società infligge ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla colpa. La pubblica autorità deve farsi giudice della violazione dei diritti personali e sociali mediante l'imposizione al reo di un'adeguata espiazione del crimine, quale condizione per essere riammesso all'esercizio della propria libertà. In tal modo l'autorità attiene anche lo scopo di difendere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza offrire allo stesso reo uno stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi.

E' chiaro che la soppressione del reo deve avvenire in casi di assoluta necessità, quando la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, a seguito dell'organizzazione sempre più adeguata dell'istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non praticamente inesistenti. In ogni caso resta valido il principio indicato dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo il quale "se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere la vita umana dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana."

Se così grande attenzione va posta al rispetto di ogni vita, persino di quella del reo e dell'ingiusto aggressore, il comandamento "non uccidere" ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente. E ciò tanto più se si tratta di un essere umano debole e indifeso, che solo nella forza del comandamento di Dio trova la sua difesa rispetto all'arbitrio e alla prepotenza altrui.

L'inviolabilità assoluta della vita umana innocente è una verità morale esplicitamente in segnata nella Sacra Scrittura, costantemente ritenuta nella tradizione della Chiesa e unanimemente proposta dal suo Magistero. Tale unanimità è frutto evidente di quel "senso soprannaturale della fede" che, suscitato e sorretto dallo Spirito Santo, garantisce dall'errore il popolo di Dio, quando esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi.

Pertanto con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale.

 

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